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Sito del comune di San Giorgio su Legnano Comune di San Giorgio su Legnano Comune di San Giorgio su Legnano

Dall’inizio del XX secolo ai giorni nostri

L’inizio del XX secolo vide l’industria nostrana proseguire la rincorsa ai paesi più avanzati. Prima della grande guerra lo sviluppo tessile e metalmeccanico dell’area legnanese attirò una forte immigrazione dalle campagne lombarde e dalle regioni vicine. Un censimento industriale del 1911 registrò che nella zona operavano più di 200 aziende, con circa 11.000 addetti. Tutte le fabbriche impiegavano la forza del vapore e alcune sfruttavano anche i recenti motori elettrici, di cui se ne contavano circa 500. L’elettrificazione era infatti la novità dell’epoca, visibile anche nel cambio dei lampioni a gas con lampade a incandescenza (a San Giorgio nel 1903), mentre la nuova tecnica del cemento armato consentiva di edificare capannoni industriali e palazzi multipiano per dare alloggi agli operai. Il raddoppio demografico (San Giorgio passò da 1.520 abitanti nel 1881 a 2.933 nel 1911) creò logicamente necessità di servizi, come scuole, presidi sanitari e luoghi ricreativi, spesso realizzati con il contributo di imprenditori, che ottenevano prestigio sociale e consenso politico. Non a caso i primi sindaci novecenteschi di San Giorgio furono Giovanni Restelli (1901-1910) e Guido Orsi (1910-1913) titolari delle maggiori aziende tessili. Nel 1915, dopo un anno di contrasti, l’Italia entrava in guerra contro gli Imperi Centrali, mirando alla conquista di Trento e Trieste. Superata la prima fase, in cui la riduzione dei commerci spiazzò la produzione industriale, nel perdurare della guerra le commesse militari fecero crescere a due cifre i fatturati delle aziende impegnate nell’equipaggiamento dell’esercito, tra cui molte appartenenti al distretto dell’Alto Milanese. Ma nella carneficina delle trincee anche San Giorgio dovette contare diverse vittime (i nomi dei 35 caduti sono riportati sul monumento in memoria disegnato da G. Maggioni e posto ora davanti al Municipio, nonché elencati su una lapide nel nuovo cimitero, aperto nel 1928 in sostituzione di quello vecchio intorno alla chiesa nuova, poi dedicata al SS. Crocifisso). Fra loro si ricorda, uno per tutti, la medaglia d’argento Carlo Floriani, che partì volontario e morì in una dolina carsica dirigendo la sua compagnia in un’azione eroica contro gli austriaci. Al ritorno dal fronte, i reduci trovarono un’Italia in subbuglio, tra inflazione e nuovi scioperi, dopo quelli indetti nel periodo bellico a causa dei bassi salari e della carenza di generi alimentari. A San Giorgio, però, almeno non mancavano occasioni di lavoro, dato che proprio nel 1919 aprirono il Salumificio Reina e la Fonderia Sangiorgese. Nonostante la crisi per il venir meno delle commesse militari, vi erano infatti imprenditori che riuscivano ad attrarre investimenti bancari, e ciò condusse, su scala nazionale, allo sviluppo di grossi gruppi industriali e, nell’area milanese, alla diffusione parallela di numerose aziende minori, creando un giro d’affari che finanziò associazioni attorno a cui andò aggregandosi una fascia della piccola e media borghesia disorientata dalla forte instabilità politica del cosiddetto biennio rosso (1919-′20), che culminò a Milano con l’occupazione di alcuni stabilimenti da parte di operai inneggianti alla rivoluzione (sull’esempio russo del 1917). È in tale clima teso che Benito Mussolini fondò a Milano nel 1919 i Fasci di combattimento, il cui programma anticlericale, anticapitalista e antibolscevico sfruttava con toni demagogici la delusione dei reduci e la rabbia dei giovani in difficoltà per la crisi del dopoguerra. Coagulate altre forze sociali ed economiche, i fascisti organizzarono nel 1922 la Marcia su Roma, manifestazione insurrezionale contro cui Vittorio Emanuele III non osò opporre l’esercito e che, anzi, finì per avallare, incaricando lo stesso Mussolini di formare il nuovo governo. Sebbene don Luigi Sturzo, già fondatore nel 1919 del Partito Popolare, proponesse in chiave antifascista l’accordo con i socialisti (divisi dai comunisti dopo il congresso del 1921), i deputati popolari accettarono di partecipare con i liberali al governo Mussolini, garantendo così la maggioranza. Ma tale veste democratica divenne presto ininfluente, poiché il futuro ‘duce’ nel biennio 1925-’26 instaurò una vera e propria dittatura. Questo il contesto politico in cui anche i sangiorgesi si trovarono a vivere e lavorare in quel periodo, invasi dalla propaganda di regime, timorosi di ostracismi e delazioni, uniformati dall’obbedienza coatta ad amministratori non più eletti democraticamente: la legge 237 del 1926 stabilì infatti che i Comuni inferiori a 5.000 abitanti (come era all’epoca San Giorgio) fossero governati da un unico Podestà nominato con Regio Decreto; lo affiancava una Consulta Municipale di sei membri di nomina prefettizia, con funzioni consultive. In pratica, decideva solo il Podestà, zelante esecutore delle direttive del Partito Nazionale Fascista. Il primo Podestà di San Giorgio fu il medico Virgilio Maggioni, che restò in carica fino al 1936, quando il ruolo passò all’ing. Ettore Malinverni, che lo tenne sino al 1940. A fine anni ’20, sul fronte urbanistico, furono ultimate le condutture dell’acqua potabile e la rete elettrica, nonché edificate varie case abitative intorno al nucleo storico. Ampliamenti edilizi che non devono tuttavia farci travisare l’immagine di San Giorgio in quegli anni: continuava a tenersi il mercato del bestiame in una ‘curta’ di via Diaz, crescevano i gelsi nei terreni Restelli e il paese era ancora immerso nel verde delle groane, con vie sterrate percorse da carri a trazione animale, salvo rari passaggi di automobili indicate a dito dai ragazzi. Gli svaghi dei giovani erano semplici: partite di calcio all’Oratorio, corse campestri e giri in bicicletta, anche se già esisteva un’associazione per i più appassionati: l’Unione Sportiva Sangiorgese, nata nel 1908 e divenuta nel 1922 società polisportiva con regolare statuto (tuttora attiva, riconosciuta dal CONI e organizzatrice, tra l’altro, del Campaccio, cross podistico annuale che dal 1963 costituisce un evento internazionale a cui partecipano atleti da tutto il mondo). Nel 1929 furono ultimate in contrada nova (oggi piazza IV novembre) le scuole elementari, progettate dell’architetto sangiorgese Gino Maggioni nello stile dell’edilizia littoria. Ciò permise agli uffici comunali, allora ospitati nel palazzo Arborio Mella, di riallocarsi nel palazzo originario di via Gerli, da dove si erano trasferiti per aumentare le aule scolastiche, coesistenti nello stesso edificio. Ma l’opera più ambiziosa, negli anni del crollo di Wall Street, fu senz’altro la costruzione della nuova chiesa parrocchiale sul terreno dell’ex-parco Arborio-Mella, anch’essa dedicata alla Beata Vergine Assunta. L’opera, in stile neo-bramantesco, venne ultimata nel 1935. All’interno furono poste opere d’antico pregio, come un altare neoclassico, un organo di metà ’800 e una pala di Biagio Bellotti, tutte provenienti dall’ex Parrocchiale (sconsacrata nel 1935 e abbattuta nel 1974 poiché pericolante). La seconda metà degli anni Trenta segnò una forte stagnazione, con minori esportazioni a causa delle sanzioni internazionali per l’attacco italiano all’Abissinia. Restava però il mercato interno, dove le ditte sangiorgesi erano assai competitive. Fra le più attive (o che sorsero proprio allora) si ricordano la Manifattura Sangiorgese, la Tessitura Peretti, la ditta Lambertini s.n.c., la Fonderia Colombo, l’Artigiana Carpenteria Meccanica e la Restelli Carlo s.r.l.. Nel frattempo l’ormai rassegnata abitudine di obbedire agli ordini del ‘duce’ aveva sopito la memoria dei liberi sindacati (sostituiti dalle corporazioni fasciste), del pluralismo politico e della stessa democrazia. Determinante in questo fu la censura sulla stampa e il dominio esclusivo del regime dei nuovi mezzi di comunicazione di massa, come la radio (diffusa nelle case borghesi e ascoltata dal popolo nei locali pubblici). La retorica fascista fu anche all’origine della scritta ‘Sotera’ – con la ‘r’ al posto della ‘n’ del toponimo riportato dal Giulini – da allora presente sullo stemma comunale, poiché al podestà Maggioni piacque dar credito a una paretimologia dialettale (sot-tera = sotto terra) legata a una leggenda locale secondo cui a San Giorgio furono sepolti i morti della battaglia di Legnano, evento già simbolo del Risorgimento che il fascismo elesse a icona dell’orgoglio italiano contro le potenze straniere nemiche. Dalla xenofobia alla piaggeria verso l’antisemitismo nazista il passo fu breve: nel '38 furono varate anche in Italia le famigerate leggi razziali, con pesanti discriminazioni contro gli ebrei, premessa delle successive deportazioni di massa nei campi di sterminio. Non mancarono tuttavia episodi di umana solidarietà, come quello del dott. Giacomo Bassi, allora segretario comunale di San Giorgio (e Canegrate), che nel 1943 riuscì a salvare i membri della famiglia ebrea Contente nascondendoli in una stanza delle scuole elementari e aiutandoli con falsi documenti a spacciarsi per siciliani immigrati. Il suo nome è ora fra i ‘Giusti delle Nazioni’ nel Museo dell’Olocausto di Gerusalemme. Certamente la tragedia degli ebrei fu la tessera più abbietta di quel vasto mosaico di orrori che fu la II Guerra Mondiale (60 milioni di morti), scatenata dall’invasione tedesca della Polonia. Francia e Inghilterra dichiararono subito guerra alla Germania, mentre l’Italia restò neutrale sino al 1940, quando la vittoria lampo della Wehrmacht in Francia convinse Mussolini a schierare le truppe a fianco di Berlino, nel rispetto del Patto d’Acciaio tra le due dittature. L’esercito regio tornava così a combattere su vari fronti (Africa, Grecia, Francia, Albania) e i famigliari di tanti soldati ricevettero solo avvisi listati a lutto, o neanche quelli, come per gli ottantaseimila dispersi dell’ARMIR. Duecentosette furono i combattenti sangiorgesi e i caduti 33 (elencati su una lapide in cimitero). Valgano ad esempio alcuni di loro, come Celestino Vignati, Antonio Morlacchi e Giuseppe Provasio, dispersi in Russia, o Ettore Fusè e Giannino Rossi, imprigionati dai tedeschi a Cefalonia nel '43: il primo morì in un lager serbo, il secondo nell’esplosione su una mina della nave di trasporto. Decisiva per le sorti del conflitto fu poi la superiore forza aerea statunitense, impegnata a bombardare i fronti di guerra e le città, tra cui Milano, che venne ridotta in molte zone a cumuli di macerie, costringendo gli abitanti a sfollare in campagna. Alcune centinaia si rifugiarono a San Giorgio, dove comunque, bombe a parte, le difficoltà erano le stesse: oscuramento serale, coprifuoco, razionamenti di cibo, penuria di gas e carbone per le stufe, regole marziali sui luoghi di lavoro e altre dure restrizioni. Impossibile citare qui la lista completa dei 46 sangiorgesi che, dopo l’arresto di Mussolini e l’armistizio firmato nel settembre 1943 dal nuovo presidente gen. Badoglio, si unirono alla Resistenza armata contro i nazifascisti, ma è giusto ricordare, in rappresentanza di tutti, Pino Croci, giovane partigiano che nascondeva in casa i ricercati: fu trovato ucciso da un colpo di pistola alla vigilia della Liberazione; Guido Vignati, operaio con ruoli di difesa nello stabilimento Franco Tosi e di collegamento con le formazioni in montagna: fu deportato a Mauthausen col triangolo rosso dei prigionieri politici; le medaglie d’oro Garzonio ed Eugenio Lambertini (Bgt. Garibaldi), Orazio Peretti (Bgt. SAP); Luigi Travaini (Bgt. Fratelli di Dio), nonché Giuseppe Mezzenzana (1^ Div. Proletaria), che fu premiato nel 1984 dal Presidente Sandro Pertini e insignito della Croce al merito di guerra. La sera del 25 aprile 1945, dopo l’insurrezione generale coordinata dal CLN, mentre i tedeschi incalzati dall’avanzata degli Alleati già ripiegavano verso la Germania, fu proprio una brigata partigiana a fermare a Dongo Mussolini, che tentava di fuggire in Svizzera con i suoi fedelissimi. Tre giorni dopo i loro corpi fucilati vennero esposti a Milano in piazzale Loreto. Di tali cruenti trascorsi alla fine del regime, per contrasto, il diario parrocchiale di San Giorgio annota che nel nostro comune “regnò grande calma e non si ebbe a lamentare nessuna vittima”. Forse il parroco temeva che i tedeschi avrebbero resistito a oltranza. Invece di lì a breve, il 30 aprile, ormai assediato dalle truppe russe, lo stesso Hitler si suicidava nel suo bunker di Berlino. In Europa fu la fine della guerra, ma non delle violenze, perché il sangue delle vendette scorse ancora per mesi, mentre il conflitto segnava l’ultimo atto in Giappone con le stragi atomiche di Hiroshima e Nagasaki (6-9 agosto 1945), prova di forza statunitense in vista della spartizione del mondo in opposizione ai sovietici. Nell’Italia ormai liberata, il referendum sulla forma istituzionale del 2 giugno 1946 fu favorevole alla Repubblica (53%), perciò a re Umberto II, succeduto al padre un mese prima, fu imposto l’esilio. Uno dei suoi ultimi atti come Luogotenente del Regno fu il D. Lgs. Luogotenenziale del 7 gennaio 1946 che ripristinò le libere elezioni nei Comuni, che tornarono così ad essere amministrati da rappresentanti votati dai cittadini. Frutto di accordi tra le forze politiche, la Costituzione della Repubblica Italiana entrò in vigore il 1°gennaio 1948 e delineò un’Italia parlamentare e democratica, basata sulla divisione dei poteri, garante delle libertà individuali e collettive e orientata alla promozione del lavoro e dell’equità sociale. Il suo art. 128 ancor oggi assegna ai Comuni la qualifica di Enti Autonomi ed altri articoli del Titolo V ne dettano i compiti secondo il principio di sussidiarietà. Furono infatti i sindaci i principali fautori della ricostruzione di città e paesi danneggiati dalla guerra, tenendo conto che ciò che andava ricostruito non erano solo edifici e strade, ma anche il rapporto di fiducia nella politica che anni di lotte intestine avevano incrinato. Nelle elezioni del 1948 la Democrazia Cristiana ottenne una schiacciante vittoria (48,5%) e il governo fu affidato a De Gasperi, sostenuto anche da PLI, PRI e PSDI, partiti che restarono poi coalizzati alla DC per tutto il periodo del cosiddetto centrismo (1948-1963), durante il quale si avvicendarono a Palazzo Chigi diversi esponenti delle correnti democristiane. In tale quadro politico, non fece certo eccezione il Comune di San Giorgio, a maggioranza cattolica da sempre, che alle elezioni amministrative del 1947 vide il successo della DC e la conseguente nomina a sindaco di Antonio Colombo, che venne poi confermato ripetutamente sino al 1956, quando fu sostituito dal suo collega di partito Emilio Colombo, che rimase in carica fino al 1970. Nel nostro paese, infatti, nonostante la presenza di molti elettori di sinistra organizzati intorno alla Casa del Popolo di via Madonnina, la prevalenza democristiana durò ben oltre la fase centrista, con le sindacature di Antonio Caspani (1970-1980) e di Domenico Fera (1980-1991). Nella ricostruzione postbellica fu determinante il Piano Marshall statunitense (anche strumento strategico della Guerra Fredda anticomunista), che fornì capitali per la ripresa civile e industriale. Gli imprenditori lombardi tornarono così a puntare sulle loro capacità, favoriti anche dalla tregua salariale concessa dall’atteggiamento responsabile dei sindacati. Per tradurre in cifre locali la rinascita del dopoguerra basti dire che l’Associazione Legnanese dell’Industria (ALI), che alla fondazione nel 1945 contava 25 aziende, nel 1955 arrivò a elencarne 319. In tale numero moltiplicato vi erano anche molte aziende sangiorgesi, poiché con il nuovo ordinamento regionale e il consolidarsi di un’area socio-economica omogenea, si superò gradualmente l’ambito cittadino per dar vita a distretti più ampi, come il nuovo Comprensorio dell’Alto Milanese, esteso tra il Ticino e l’Olona. Un censimento del 1951 registrò il primato ancora del comparto tessile, nel quale operavano circa dodicimila dipendenti in un centinaio di imprese, seguito dal settore metalmeccanico, con 9.400 addetti distribuiti in 253 aziende. A San Giorgio erano ormai sparite le filande (per la concorrenza cinese e l’avvento delle fibre sintetiche), ma resistevano le storiche tessiture e ne sorgevano di nuove, come la Tessitura Colombo, la Tessitura Toia ed altre nate in quel periodo, caratterizzato dalla fine del protezionismo e dall’apertura ai mercati esteri, mentre già si firmavano gli accordi per la libera circolazione del carbone e dell’acciaio (CECA, 1951) che gettarono le basi della futura CEE. Il settore metalmeccanico locale strappò il primato al tessile nel 1961, sia con nuovi stabilimenti sia con l’ampliamento di aziende esistenti, come la fonderia Quaglia & Colombo, la B&C di Michele Bertelli (componenti elettrici) e la filiale sangiorgese della Borletti (già presente dagli anni di guerra), che unì alla produzione di tachimetri quella di macchine per cucire. Lo stesso sviluppo si verificò in altre zone del nord Italia, trainando l’intera nazione in quello che un giornale inglese definì il ‘boom economico italiano’. Va ricordato, però, che tale miracolo non sarebbe mai avvenuto senza il basso costo del lavoro derivante dal grande afflusso di manodopera proveniente dal Meridione. Il conseguente balzo demografico (San Giorgio nel ’61 contava 5.454 abitanti rispetto ai 3.890 dell’anteguerra), creò necessità di nuovi alloggi, che furono progettati in moderni condomini, costruiti sia nella periferia sia in spazi centrali ricavati abbattendo vecchi complessi di cortile. Tra gli altri, quelli costruiti nel 1954 in via Visconti di Modrone con le agevolazioni del ‘piano Fanfani’. Tale sviluppo edilizio, parallelo all’asfaltatura delle strade, alla diffusione delle auto utilitarie e alla crescita degli allacciamenti telefonici, modificò in pochi anni l’aspetto del paese, benché rimanessero ancora alcuni fabbricati di tipo rurale, come in via Raimondi, dove permanevano le case di ringhiera, i rustici e i fienili, poi abbattuti nel 1987. Dalla metà del decennio Sessanta, infatti, l’agricoltura, nonostante i nuovi mezzi a motore, divenne definitivamente marginale nell’economia sangiorgese, e con gli ultimi contadini andò perdendosi anche la cultura dialettale: in quella fase di rapida modernizzazione e crescente influsso televisivo sembrava inadatta a tradurre le nuove frasi del business. Per i ragazzi che frequentavano le scuole medie “G. Ungaretti”, edificate nel 1967 in piazza IV novembre accanto alle scuole elementari (oggi Municipio), la parola ‘cavaleri’ era solo un cognome negli appelli scolastici, non più il termine dialettale per i bachi da seta (e per chi li allevava) e ‘l’èra’ rappresentava unicamente un periodo geologico, non più l’aia in terra battuta dove avveniva la trebbiatura e dove le donne d’estate stendevano il bucato. Il dialetto sangiorgese (variante del legnanese) era dunque parlato soltanto dagli adulti, cioè da coloro che attualmente sono anziani. In certi casi, però, rimase il loro insegnamento, tanto che oggi, dopo la scomparsa del compianto Felice Musazzi, l’attore protagonista della nota compagnia dialettale I Legnanesi è Antonio Provasio, nato da genitori sangiorgesi nel 1962. Fin dagli anni del dopoguerra, come oggi, l’arteria più vitale era via Roma, sede di uffici, di una filiale bancaria e di vari negozi, molti dei quali sorti dopo la costruzione della nuova chiesa Parrocchiale che vi si affaccia. Ma i luoghi di rifornimento domestico più frequentati erano gli spacci della rinata Cooperativa di Consumo San Giorgio, che nell’era dei primi supermarket e della crescita pubblicitaria puntò sui bassi prezzi, scelta che all’inizio fece affluire molti acquirenti, ma che ne determinò la chiusura quando l’economia rallentò la sua corsa (la società riprese nel 1978 fondendosi con altre nella nuova Cooperativa Alto Milanese). La recessione tornò infatti a mordere alla fine degli anni ’60 e il comparto più colpito fu proprio il tessile, cioè il settore che aveva originato e poi trainato l’intera industria lombarda. La causa principale fu che i margini operativi delle aziende non ressero più il confronto con quelli di industrie di nazioni emergenti (soprattutto orientali) e gli ordini diminuirono drasticamente, costringendo molte ditte alla chiusura. Altre invece scelsero il lavoro in conto terzi, che diventò una vera strategia di sviluppo a basso costo e bassa conflittualità. Nacque così una nuova categoria di imprenditori che riuscì progressivamente a sottrarsi alla tutela dei grossi operatori e a instaurare rapporti autonomi col mercato, unendo alla tessitura la confezione di vestiti per entrare nel comparto abbigliamento-moda con prodotti di qualità. Significativa in tal senso la ditta sangiorgese Mimoska, ramo collaterale della Tessitura F.lli Bianchi, che si lanciò nell’abbigliamento per bambini e nel prêt-à-porter femminile, all’inizio per l’Upim e la Rinascente, poi rivolgendosi in proprio a committenze estere. In tale difficile scenario si arrivò all’autunno caldo del 1969, grande mobilitazione sindacale di massa, per certi versi figlia del clima innescato dalle rivolte studentesche del ′68 e dal picco di consenso al PCI, che fu seguita a breve dalla strage di piazza Fontana, evento che inaugurò a Milano la cosiddetta 'strategia della tensione', stillicidio di attentati terroristici contro ignari cittadini per modificare il corso della politica orientata a convergenze di centro-sinistra. La lotta tra le fazioni andò acutizzandosi nei seguenti anni ′70 e fu anche all’origine di frange eversive da cui derivarono vere bande armate, come i neofascisti di Ordine Nuovo e i marxisti-leninisti delle Brigate Rosse, autori questi di violenze e omicidi contro poliziotti, magistrati e giornalisti, nonché responsabili, nel 1978, del sequestro e assassinio dell’on. Aldo Moro, presidente della DC. Fatti che suscitarono anche a San Giorgio accesi dibattiti, specie nei luoghi di lavoro. A peggiorare il quadro di quegli anni critici (benché, per altri versi, assai creativi, come ricordano i membri dell’Associazione Artisti Sangiorgesi, nata proprio allora), dal 1973 subentrò la crisi energetica, quando per la guerra arabo-israeliana del Kippur le nazioni OPEC interruppero le forniture di petrolio facendo innalzare vertiginosamente il prezzo dei carburanti. Come molti stati, anche l’Italia prese misure per diminuirne il consumo, decretando il divieto di circolare la domenica con mezzi a motore, la fine anticipata dei programmi televisivi e la riduzione oraria delle luci stradali. Tanti sangiorgesi riscoprirono perciò la bicicletta (altri, a dire il vero, non l’avevano mai lasciata) e fors’anche per l’aria pulita di quelle giornate senza traffico iniziò a comparire nelle discussioni il tema della lotta all’inquinamento. Più gravi le conseguenze economiche, con l’impennata dell’inflazione ed effetti deprimenti sul sistema industriale, che non vide più i tassi di crescita registrati in precedenza e che dovette operare pesanti tagli aumentando i disoccupati. A fronte del perdurare della crisi, anche le aziende sangiorgesi cercarono quindi di orientarsi verso prodotti d'alta qualità (come particolari fusioni a getti speciali nel settore fondiario) per puntare a nicchie di mercato in un contesto sempre più globale e competitivo. Un certo miglioramento si ebbe però soltanto dagli anni ′80, contraddistinti dall’indebolimento del PCI (anche per il crollo progressivo del socialismo reale in URSS) a tutto vantaggio del PSI guidato da Bettino Craxi, poi Presidente del Consiglio dal 1983 al 1987. Fu un quinquennio caratterizzato da un certo ripiegamento nella sfera del privato, mentre andava crescendo l’influenza delle televisioni commerciali e si estendevano modelli di comportamento più inclini agli aspetti edonistici del consumismo. La ripresa originò da un buon momento dell’economia mondiale, favorita dal ribasso del prezzo del petrolio e, soprattutto, dagli sviluppi delle tecnologie elettroniche e informatiche. Le grandi imprese ristrutturate lanciarono nuovi prodotti, mentre i settori tradizionali legati al buon gusto italiano (alimentari, moda) ottenevano visibilità internazionale con marchi vincenti. Anche le piccole e medie imprese sfruttarono il trend positivo per offrire i loro beni e servizi e appunto in quegli anni sorsero a San Giorgio nuove fabbriche, fra cui rilevante per l’impatto occupazionale l’azienda LTC (elementi per trasformatori), mentre le ditte Scaramozzino e Marazzini aumentavano l’attività nel settore dei serramenti e l’Alfamatic, nata nel 1979, raggiungeva buone quote nel campo delle presse oleodinamiche. Il sindaco di allora era il citato Domenico Fera, che promosse lavori fognari e altre opere urbanistiche, come il Centro Sportivo Comunale, moderna struttura con campo di calcio e campo per l’atletica, accessibile grazie alla nuova via Carlo Alberto dalla Chiesa. Fu proprio il terziario a trainare il mini-boom degli anni Ottanta, con l’apertura di impianti sportivi, asili, filiali bancarie, case di riposo, librerie, ristoranti, bar e discoteche, insieme a una ristrutturazione generale dei negozi, fra i quali a San Giorgio si distinguono per qualità le panetterie e per specificità di settore i casalinghi e gli articoli da regalo. Durante la successiva sindacatura di centro-sinistra di Ivan Solbiati (1991-’92) fu trasferito il Municipio nell’edificio di piazza IV novembre prima occupato dalle scuole elementari, ormai sostituite dalle nuove scuole primarie ‘Gianni Rodari’ inaugurate in via Vittorio Veneto nel 1978. La fiducia nel pentapartito al governo (DC, PSI, PRI, PSDI, PLI) crollò repentinamente nel 1992, quando il processo milanese chiamato ‘Mani Pulite’ mise in luce un vasto giro di tangenti e concussioni, con incriminazioni di ministri, parlamentari, imprenditori e dell’ex premier Bettino Craxi, che scappò in Tunisia prima della sentenza definitiva. Il conto politico che i partiti coinvolti pagarono nelle elezioni del ’94 fu salato: il Partito Popolare (ex DC) scese a un modesto 11,07% e il PSI a un misero 2,19%, superato anche da partiti minori, come la Lega Nord (8,36%), formazione federalista che fu la prima a cavalcare l’ondata di protesta per l’accaduto. Invece il Partito Democratico della Sinistra (come si era rinominato il PCI per marcare la svolta post-comunista) ottenne il 20,36%, cioè circa il doppio dei voti espressi a quella DC che aveva inseguito per quasi quarant’anni, ma inferiore all’inatteso 21,01% di Forza Italia, partito neo-fondato dall’imprenditore Silvio Berlusconi, già amico di Craxi e proprietario di tre reti televisive nazionali, che divenne quindi Presidente del Consiglio. Questo scossone politico influì ovviamente sulle elezioni amministrative tenutesi nel giugno dello stesso anno con il nuovo sistema di elezione diretta del sindaco istituito dalla legge 81/1993. A San Giorgio prevalse il candidato della Lega Nord Marzio Colombo, sostenuto anche da parte dell’elettorato cattolico, e la sua Giunta amministrò il Comune dal 1994 al 1998, tendendo soprattutto all’efficienza della gestione ordinaria, ma varando anche un piano urbanistico residenziale in via Aldo Moro comprendente aree verdi e giochi per bambini. L’idea mirava ad ampliare l’offerta abitativa per soddisfare le tendenze ecologiche di una percentuale crescente della domanda immobiliare. In tali orientamenti non era ininfluente l’aumento delle trasmissioni televisive con canali privati, satellitari e di pay-tv, insieme alla diffusione di videorecorders VHS per vedere film e  programmi registrati, comprati o noleggiati (anche la biblioteca civica si dotò di un’ampia scelta, ora con DVD e Blu-Ray), così come fu determinante l’affermarsi dei personal computers, che tramite la rete telematica (dal 1995 crebbero gli accessi a Internet di utenti privati) rese possibile eseguire molte operazioni direttamente da casa, sicché abitare in centro o in periferia divenne più una scelta di stile di vita che di praticità, poiché risultava meno importante la vicinanza a servizi quali banche, poste, uffici pubblici, cinema e agli stessi negozi, sempre più sostituiti nelle abitudini dei consumatori da centri commerciali extraurbani. Inoltre la posizione di San Giorgio, vicino alle stazioni ferroviarie di Legnano e Canegrate (raggiungibili con mezzi propri o in bus), consente ai pendolari di accedere ai frequenti elettrotreni diretti a Milano. Vicino anche (3 km) l’ingresso dell’A8 Milano-Laghi, che nel 1924 fu la prima autostrada realizzata nel mondo, ma oggi purtroppo vanta il primato fra i tratti più intasati nelle ore di punta. Dal 1989 si raggiunge tramite un sottopasso che unisce la provinciale 12 da Inveruno (tangente a San Giorgio) e il viale Toselli di Legnano. Nel 1996, indebolito dalla defezione della Lega Nord, il polo di centro-destra fu battuto da una coalizione di centro-sinistra (detta Ulivo: PDS, AD, PPI e Verdi con l’accordo elettorale di Rifondazione Comunista) che portò al governo Romano Prodi, il quale subito adottò misure rigorose per ridurre il deficit pubblico in vista dell’ingresso dell’Italia nell’Eurozona nel 1999. A parte tale risultato, Prodi riuscì a incidere poco, perché nell’ottobre 1998 fu sfiduciato per la sottrazione del sostegno di Rifondazione Comunista. La crisi fu tuttavia posteriore alle elezioni amministrative del maggio 1998, che a San Giorgio videro prevalere di stretta misura Claudio Celora, candidato dell’alleanza Ulivo-Rifondazione prima della rottura. La giunta di Celora progettò il rifacimento di via Roma, via Manzoni e via Mella, poi realizzato dalla sindacatura successiva di centrodestra dell’ex sindaco Marzio Colombo, rieletto nel 2002. Un lungo tratto di via Roma diventò a senso unico per dare spazio a una pista ciclabile e venne scelta una pavimentazione in porfido con marciapiedi a livello protetti da colonnine. Nel corso dell’opera, finita nel 2004, fu posata sotto il manto stradale una linea in fibra ottica per consentire le connessioni telematiche a banda larga. Frattanto, la legge Bossi-Fini del 2002 sanciva nuove regole per l’immigrazione e la Maroni-Biagi del 2003 introduceva nuovi contratti di lavoro atipici, con l’effetto di ridurre parzialmente la disoccupazione, ma anche di aumentare l’incidenza del precariato. Riguardo ai flussi migratori esteri, va notato che fino al 2006 non erano molti gli stranieri residenti a San Giorgio, mentre poi sono sensibilmente aumentati. L’ultimo censimento del 2012 ha registrato la presenza, su 6.730 abitanti, di 559 residenti extracomunitari, di cui 122 albanesi, 98 marocchini, 63 rumeni, 40 ucraini, 22 ecuadoregni e 22 pakistani. Alle elezioni amministrative del 2007 la Lega Nord scelse di presentarsi da sola e di candidare a San Giorgio ancora il sindaco Marzio Colombo, il cui mandato fu rinnovato dall’esito elettorale fino al 2012. Oltre alla ristrutturazione del Municipio, finita nel 2009, e a interventi urbanistici in via Pasubio, via Milano e via Battisti, nel periodo si è assistito a un sensibile incremento dell’edilizia privata, tra cui vari complessi residenziali in via Boccaccio e cinque nuovi nuclei abitativi in via Ragazzi del ′99. Infine, quasi alla scadenza del mandato, la giunta leghista deliberò di fare costruire un Palazzetto dello Sport, principalmente ad uso delle squadre locali di basket e pallavolo, ma aperto altresì ad eventi pubblici (concerti, spettacoli). La struttura è stata denominata PalaBertelli, dal nome dei proprietari della ditta LTC, che in qualità di sponsor provvede alle spese ordinarie dell’impianto. Gli anni successivi sono storia attuale: in clima di stagnazione economica, perdurante ormai dal 2008, fra difficoltà delle aziende e arresto dell’edilizia, elevato tasso di disoccupazione e cronico deficit di bilancio dello Stato (riparato solo in parte dalle misure dei governi di larghe intese di Monti e Letta, succeduti dal novembre 2011 all’ultimo governo Berlusconi), in un contesto di rinnovata sfiducia verso i partiti (ora parzialmente incanalata nel Movimento 5 Stelle fondato da Beppe Grillo) le elezioni amministrative del 2012 hanno registrato la vittoria nel nostro Comune di Walter Cecchin, candidato della lista civica “Vivere San Giorgio”. Ultimati i lavori del PalaBertelli, la sua sindacatura si è concentrata soprattutto sul riassetto di bilancio comunale, varando poi l’ammodernamento dell’illuminazione civica con lampade a LED e la creazione di strutture di servizio per i cittadini, fra cui la messa in sicurezza di alcuni tratti di piste ciclabili, un distributore pubblico di acqua da tavola microfiltrata e  un’attrezzata area verde per cani, molto benvista dai numerosi possessori di amici a quattro zampe. In seguito, nel 2016, la realizzazione del progetto più importante: la ristrutturazione della storica Piazza Mazzini, ampia opera urbanistica studiata dagli architetti Paola Cavallini e Stefano Della Santa che ha previsto la posa di una nuova pavimentazione in pietra di Luserna grigia e rosa e il posizionamento di file ondulate di moderne panchine, con doghe in legno iroko impermeabilizzato. L’ombreggiatura è garantita dalla piantumazione di alberi di Sophora japonica e di arbusti di Amelanchier (pianta nordamericana della famiglia delle rosacee). È stato inoltre realizzato un grazioso sentiero d’acqua a ruscello, che scorre lungo l’asse della vecchia (e demolita) chiesa parrocchiale, quasi a richiamare la storica presenza di quella ‘vasca e fontanile’ che rinfrescava la piazza centrale nei secoli passati. La soppressione del parcheggio pubblico che prima occupava la piazza è stata compensata dall’apertura di un nuovo parcheggio a poca distanza, nell’area dell’ex-Municipio di via Gerli, stabile che per altro è ora oggetto di uno studio architettonico di ristrutturazione per adibirlo a centro culturale polivalente. Queste opere civiche riuscite hanno senz’altro influito positivamente sul consenso dei sangiorgesi, almeno a giudicare dal rotondo 61,8% di voti che nelle recenti elezioni comunali del giugno 2017 ha premiato la ricandidatura a sindaco di Walter Cecchin, il quale ha subito dichiarato di voler proseguire il programma di interventi per far sì che i cittadini possano “Vivere San Giorgio” (come recita il nome della sua lista vincente) in modo sempre più efficiente e di qualità. Certo, i tempi permangono difficili e le finanze non abbondano, ma, come dimostra la storia fin qui narrata, la capacità dei sangiorgesi di affrontare i momenti critici non è mai mancata, anzi, costituisce la vera anima di una comunità laboriosa che saprà senz’altro superare le secche del presente per agganciare quei timidi segnali di ripresa che, durante le ultime annate nazionali, governate dapprima da Matteo Renzi (PD) e ora da Paolo Gentiloni (PD), sono stati ripetutamente registrati negli studi previsionali dall’OCSE.


 

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